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Le avventura del supermercato che in origine era solo una macelleria

Trieste. Dalla finestra di casa, fregandomene della vertigine del primo piano dirigo lo sguardo oltre la piazza e vedo la vetrina di un supermercato. Un piccolo supermercato che in origine, fino a una trentina di anni fa, era solo una macelleria. In seguito si é trasformato in una macelleria fruttivendolo, negli ultimi anni in un mini supermercato. La peculiarità dell’attività è sempre stata costante nell’avere una clientela che si potrebbe definire “delirante”. L’attività ha cambiato metamorfizzandosi per venire in contro alla domanda dei clienti, ma loro in cambio non sono cambiati. Sono rimasti uguali e a parer mio sono perfino peggiorati. Di tanto in tanto ci compro qualcosa e ogni volta sorrido.

Ieri cercavo della farina. Ho vagato a vuoto cercando la farina e puntualmente non trovandola, fino a che una dipendente mi chiede se ho bisogno di aiuto. Stavo quasi per rispondere come faccio spesso nei negozi di abbigliamento con un “do un’occhiata se ho bisogno le chiedo, grazie”, ma invece le ho chiesto della farina. Mentre me lo dice, o meglio inizia a parlare, una vecchietta si intromette come dovesse annunciare la caduta di un qualsivoglia governo, e rantola decisa il suo quesito: “perché non vedo più le confezioni da sei di Coca Cola?”.

La dipendente dopo qualche secondo di pausa inizia a dare una risposta pre-impostata. “Probabilmente non sono arrivate dai fornitori”.

La vecchietta si volta e torna a parlare con le confezioni delle bibite. Forse chiedendo spiegazioni sulle colleghe mancanti. Ascolto l’indicazione sulla farina. La raggiungo e poi mi dirigo verso la cassa. Appoggio il cestino sugli altri cestini e dimentico la borsetta di stoffa. Una signora mi dice “è sua quella borsetta?”. Realizzo, prendo la borsetta e ringrazio con un sorriso, aggiungo anche “che sbadato”. Colloco la farina sul nastro e attendo il mio turno. Sento la signora che mi aveva poc’anzi fatto notare la dimenticanza della borsetta, che borbotta tra se e se. Ascolto e sento che l’argomento sono io, anzi, la borsetta. “A me sembra che la borsetta fosse mia”, grugnisce, fa strani rumori, “credo che è mia”. La ignoro e mi muovo lentamente, sia mai provocare psicosi incontrollabili.

Il signore anziano davanti, mentre paga, sento che alza la voce e rimprovera alla moglie che sistemava la spesa dentro un carrellino privato, di aver comprato cose che non servivano. Lei è mortificata, io sorrido all’uomo che decide da me moralmente spalleggiato di infierire. La cassiera si guarda intorno, probabilmente appena entrata nel mondo immaginario in cui si rifugia, come le sue colleghe, per non perdere la ragione.

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